Radicamento: ancorarsi nel presente tra psicologia e filosofia

Viviamo in tempi in cui tutto si muove troppo in fretta. Le giornate scorrono come correnti veloci, trascinandoci da un impegno all’altro, da un pensiero al successivo, da una notifica a una nuova preoccupazione. Ci ritroviamo così, spesso senza accorgercene, a vivere sospesi: tra ciò che è stato e ciò che sarà, tra desideri e paure, con la mente che viaggia e il corpo che resta indietro. È in questa distanza, tra dove siamo e dove pensiamo di dover essere, che nasce il bisogno profondo di radicamento. Radicarsi non significa restare fermi, né chiudersi. È, al contrario, un atto di presenza. È la capacità di abitare pienamente il momento che stiamo vivendo, di sentirlo con tutto il corpo, con tutto il respiro, con tutto ciò che siamo. È dire a se stessi: “Io sono qui. Adesso.” Nella prospettiva psicologica, il radicamento è una forma di centratura, un ritorno alla consapevolezza del proprio corpo e delle proprie emozioni. Spesso, infatti, quando siamo ansiosi, spaventati o sopraffatti, ci “stacchiamo” da noi: la mente corre, il corpo si irrigidisce, il respiro si fa corto. Radicarsi significa ritrovare il contatto con la realtà fisica, con i sensi, con il ritmo naturale della vita. È un gesto semplice ma rivoluzionario: posare i piedi a terra, sentire la gravità che ci sostiene, ascoltare il respiro che ci ancora al presente. Dal punto di vista filosofico, il radicamento è una forma di essere nel mondo. I filosofi esistenzialisti, da Heidegger a Merleau-Ponty, ci ricordano che non siamo menti isolate ma corpi che abitano uno spazio. Il corpo è la nostra prima casa, il luogo attraverso cui esperiamo il mondo. Per questo, tornare al corpo significa tornare alla verità dell’esistenza. Significa riconoscere che non possiamo controllare tutto, ma possiamo esserci, possiamo respirare, possiamo scegliere come attraversare ogni istante.

Anche nella filosofia orientale, dal Buddhismo al Taoismo, il radicamento è inteso come equilibrio tra cielo e terra, tra spiritualità e materia. Le radici ci legano al suolo, ma non ci imprigionano: ci nutrono, ci danno stabilità, ci permettono di crescere verso l’alto. L’essere umano, in questa visione, è come un albero: ha bisogno di radici profonde per poter allungare i rami verso il cielo. Senza radici, non può sostenere la crescita; senza rami, non può fiorire. In psicologia, il concetto di radicamento è strettamente legato alla regolazione emotiva. Quando siamo radicati, siamo più capaci di tollerare l’incertezza, di attraversare l’ansia, di restare nel presente anche nei momenti difficili. Il corpo diventa un punto di riferimento sicuro: un luogo dove tornare quando la mente corre troppo. Tecniche come la mindfulness, la respirazione consapevole, l’attenzione ai sensi o persino il contatto con la natura ci aiutano a ritrovare questo equilibrio. Radicarsi significa anche accettare il limite. In un mondo che ci spinge costantemente a superarlo, il radicamento ci ricorda che la stabilità non nasce dall’avere tutto, ma dal riconoscere ciò che già abbiamo. Il terreno sotto i piedi non è un confine, ma una base. È il punto da cui possiamo muoverci con sicurezza, senza perderci. Radicarsi è, in fondo, una forma di fiducia. È credere che, anche se la vita cambia, anche se tutto intorno si muove, qualcosa dentro di noi può restare saldo. È saper tornare a sé dopo ogni tempesta. È saper dire “sto qui” anche quando vorremmo fuggire. È saper scegliere la calma anche quando la mente urla movimento. Nel linguaggio del corpo, il radicamento si sente nei piedi che si poggiano a terra, nel respiro che scende in profondità, nello sguardo che torna al presente. È una danza silenziosa tra stabilità e flusso, tra fermezza e adattamento. La mente, quando è radicata, non smette di pensare, ma smette di perdersi. Si muove con la vita invece di combatterla. Filosoficamente, il radicamento è anche un modo di riconciliarsi con l’impermanenza. È sapere che non possiamo trattenere nulla, ma possiamo esserci completamente mentre le cose accadono. È un’arte: quella di abitare la realtà senza volerla possedere, di restare presenti nel divenire, di non confondere la stabilità con l’immobilità. Perché solo chi è ben radicato può davvero cambiare senza perdersi. E forse, oggi più che mai, abbiamo bisogno di tornare alle radici, non come ritorno al passato, ma come ritorno a noi stessi. Alle nostre verità semplici: il respiro, il corpo, la terra sotto i piedi, la gratitudine per ciò che è. In un mondo che ci spinge costantemente verso l’altrove, il radicamento è il più grande atto di libertà.

La me che riflette

Radicarsi non è chiudersi, ma aprirsi con stabilità. È dire al mondo: “Io ci sono, con tutto ciò che sono.” È sentirsi parte, non separati. È trovare casa in sé, anche quando tutto intorno cambia. Il radicamento è la quiete che nasce dal contatto con il reale, è la certezza che non serve andare lontano per sentirsi vivi. È la capacità di essere nel presente senza scappare, di ascoltare la vita nel suo ritmo più profondo: quello del respiro. Essere radicati significa ricordarsi che la stabilità non si trova fuori, ma dentro. Che la pace non è assenza di movimento, ma armonia tra ciò che scorre e ciò che resta. Che le radici non ci imprigionano, ma ci nutrono. E così, ogni volta che la mente si perde nel passato o nel futuro, possiamo tornare qui, nel corpo, nel momento. Possiamo posare i piedi a terra, inspirare, espirare, e dirci: “Questo momento è casa.”

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